Quando ancora non si parlava di “home theatre”, quando gli album si ascoltavano con una fonovaligia, quando c’erano ancora in circolazione le cartucce Stereo 8, uno dei regali più ambiti per il compleanno o la promozione era “lo stereo”; vale a dire un impianto per la riproduzione dei 33 giri in modalità stereofonica, cioè con due casse acustiche e la possibilità di bilanciare i suoni su due canali separati (adesso non stupisce nessuno, allora era quasi magia).
Parliamo degli anni a cavallo fra la fine dei Sessanta e l’inizio dei Settanta: nelle camerette dei ragazzi cominciavano a comparire gli “impianti stereo”, composti da un amplificatore, un giradischi, due altoparlanti. Nient’altro: niente equalizzatori, niente registratore, niente sintonizzatore radio… Ebbene: a partire dal 1973, chiunque fosse l’orgoglioso proprietario di un impianto stereo era anche, nel 99 per cento dei casi, anche l’orgoglioso proprietario di “Dark side of the moon” dei Pink Floyd.
Non c’era negozio di Hi-Fi che non utilizzasse questo album come disco dimostrativo per far apprezzare le caratteristiche e le qualità delle apparecchiature in vendita. In ogni “saletta d’ascolto”, prima o poi risuonava lo squillo della sveglia che apre “Time”, secondo brano della facciata A, oppure si sentiva il tintinnio di monete dell’inizio di “Money”. Ogni raccolta di dischi esibiva la copertina di cartoncino nero con il prisma in cui entra un raggio di luce bianca che ne viene scomposto nei sette colori dell’arcobaleno. Poi, col tempo, la stessa popolarità dell’album ha fatto sì che esso venisse “dimenticato”: può sembrare un paradosso, ma “Dark side of the moon” è uno dei dischi più presenti nelle case ma anche uno dei meno ascoltati.
Curiosamente, “Dark side of the moon” uscì prima negli Stati Uniti (l’1 marzo del 1973, cioè 45 anni fa) che in Gran Bretagna (dove raggiunse i negozi il 16 marzo).